indirizzo: Via Badia, 64

Ingresso: Libero

Descrizione


Il santuario dedicato ad Ercole Curino sorge alle falde del monte Morrone, nei luoghi che la tradizione locale ha da sempre associato alla memoria del poeta latino Ovidio, nato a Sulmona nel 43 a.C. e morto in esilio a Tomis, sul Mar Nero, nel 17 d.C.

Fino al 1957, anno in cui si diede inizio ad una campagna di scavi di grandi proporzioni, si ritenne che gli antichi resti architettonici affioranti dal terreno, nei pressi della località denominata appunto “Fonte d’Amore”, appartenessero alla “Villa di Ovidio”. Le strutture che gli archeologi riportarono alla luce nel corso del decennio successivo indicarono però che non si trattava di un’abitazione, ma di un’opera architettonica di ben maggiori dimensioni, riferibile ad un importante luogo di culto costruito su terrazzamenti artificiali e frequentato dalle popolazioni locali dal IV secolo a.C. al II d.C.

Note Storiche

L’origine del culto di Ercole è forse correlata all’esistenza di sorgenti e polle d’acqua, di grotte e anfratti naturali, ove l’unione dei due elementi primordiali - terra e acqua - suggerivano la presenza del soprannaturale e del divino. Qui le popolazioni locali edificarono nel IV sec. a.C. il tempio, dedicandolo all’eroe, figura particolarmente legata al mondo della pastorizia, il cui culto è quindi attestato soprattutto in prossimità degli antichi percorsi tratturali. L’edificio sacro venne successivamente ampliato (tra il III e il II secolo a.C.) e infine completamente trasformato nel corso del I secolo a.C., quando la crescita economica, culturale e sociale dell’antica Sulmo ne permise l’adeguamento ai canoni monumentali, di matrice ellenistica, presenti nei coevi santuari laziali. Nella seconda metà del II secolo d.C. un forte terremoto causò con molta probabilità la frana che determinò il collasso delle strutture e il riempimento dell’area con materiale detritico; ciononostante il sito continuò ad essere frequentato, sia pure sporadicamente, almeno fino al III – IV secolo d.C.. Ill perdurare della sacralità del luogo è confermata nel Medioevo anche attraverso la figura ascetica di Celestino V che fondò in quella stessa area l’Abbazia di Santo Spirito a Morrone e l’eremo di Sant’Onofrio.

Altre info

La struttura è organizzata su due livelli di terrazze artificiali, la cui base inferiore è costituita da un imponente muro di sostruzione in opera cementizia (incerta e quasi reticolata). Al di sopra di esso, in corrispondenza del primo piazzale a partire dal basso, si aprivano quattordici ambienti voltati a botte, che si affacciavano sull’ampio panorama della conca peligna e che con molta probabilità erano adibiti a locali di servizio, tranne il primo e l’ultimo, occupati dalle rampe di accesso al secondo terrazzo. Quest’ultimo, di grande ampiezza, era parzialmente coperto da un lungo porticato e costituiva l’ingresso principale al tempio, da cui partivano due ampie gradinate tra loro ortogonali che immettevano agli edifici sacri veri e propri; tra una gradinata e l’altra c’era una piazzola lastricata. Sulla gradinata superiore erano collocati un piccolo donario e una fontana monolitica in pietra: qui dovevano sostare i fedeli che, fatta la donazione, si purificavano con l’acqua prima di accedere all’area sacra. Il sacello, situato infatti in posizione più elevata, era posto su un alto podio a conclusione dell’intero percorso di ascesa, cadenzato in tappe rituali. Sul posto restano ancora le tracce delle decorazioni parietali, con dipinti che imitano un rivestimento marmoreo - simili al primo stile pompeiano - e un raffinato mosaico pavimentale policromo. Quest’ultimo è strutturato in fasce concentriche a partire da un rosone centrale, con motivi decorativi attinti dal repertorio ellenistico: racemi vegetali, delfini guizzanti, onde ricorrenti interrotte da palmette, torri merlate e scaglie, mentre, in corrispondenza della soglia, compare il fascio di folgori, con evidente riferimento a Giove, padre di Ercole; pitture parietali e pavimento a mosaico furono eseguiti in concomitanza con l'ampliamento del santuario nel I secolo a.C. Davanti all'ingresso della cella è stato rinvenuto, pressoché integro, un altare rivestito con lastre di bronzo, un unicum nel suo genere; l’iscrizione apposta sul fronte ci dice essere l’ex-voto di Caio Settimio Popiliano, evocatus (ex pretoriano salito di grado) di Augusto. Altri ritrovamenti si riferiscono ad offerte votive di vario tipo ed indubbio valore, tra cui spicca la statuetta raffigurante Eracle in riposo. Ritenuta in un primo tempo copia di un perduto prototipo lisippeo, è stata recentemente giudicata "replica d'autore" del noto scultore di Sicione, al quale gli antichi attribuivano ben 15.000 opere. La preziosa statuetta è oggi conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Chieti; una copia invece si trova all’interno della sezione romana del Polo Museale Civico di Sulmona, nel Palazzo della SS. Annunziata.