indirizzo: Via Manlio D'Eramo, 57

Descrizione

La porta si apre lungo il tratto occidentale della seconda cinta muraria, che tra la fine del Duecento e l’inizio del secolo successivo estese il perimetro dell’abitato per includere i borghi sorti a ridosso della primitiva cerchia e - nello specifico - il borgo Sant’Agata.

Essa sostituì nella funzione la Porta Filiamabili, tuttora esistente, che chiudeva il nucleo antico del primo recinto; da questa ereditò per un certo periodo la denominazione di “porta delle capre” - una delle tante che la suddetta porta aveva assunto nel corso dei secoli - e, nel Seicento, si chiamò anche porta del Crocifisso. La parte superiore, dopo essere caduta in disuso come alloggio permanente del Corpo di Guardia, fu adibita ad uso privato, forse agli inizi del Settecento: inizialmente per usurpazione, poi a fronte di un canone annuo in favore del Comune. Da una deliberazione decurionale del 1816 si evince infatti che Domenico Granata, gestore dell’antichissima cartiera cittadina, aveva ridotto ad abitazione questa porzione della porta contro il pagamento di due quinterni di carta ed aveva inoltre apposto l’arma della propria casa, consistente in tre granate, al di sopra dell’arco; nell’atto veniva sancito l’obbligo di rimuovere lo stemma di famiglia e quattro anni dopo il canone annuo veniva portato ad otto ducati. Ciononostante lo stemma è ancora oggi in situ. Il terremoto del 1706 provocò il crollo dell’attiguo torrione e presumibilmente danneggiò anche la porta, che fu forse ribassata in quest’epoca con l’inserzione di una lunetta.


Altre info

L’arco ogivale esterno, da un’analisi comparativa con le porte coeve, può essere datto alla fine del Duecento; quello nel prospetto interno – così come la volta a botte del passaggio – è invece probabilmente da riferire ad un rifacimento posteriore, in quanto realizzato con materiali diversi e di minore pregio, quali il laterizio per la struttura e lo stucco - a simulare la pietra - per il rivestimento. Entrambi gli archi sono stati ribassati da lunette, ma solo quella della facciata interna presenta i resti di un affresco con Sant’Antonio da Padova: il palese equivoco sull’identità del Santo non deve far sorgere dubbi sulla denominazione della porta, in quanto la sua intitolazione a Sant’Antonio Abate è attestata, oltre che da antichi documenti, anche dai versetti del Rituale membranaceo conservato nel Museo Diocesano d’Arte Sacra di Santa Chiara: l’invocazione in essi contenuta si riferisce chiaramente, infatti, a Sant’Antonio Abate, quale protettore della malattia comunemente nota con il nome di “fuoco di Sant’Antonio”. Nella parete sinistra del passaggio è visibile la porticina di accesso alla gradinata che portava al soprastante Corpo di Guardia. La facciata esterna della porta è interamente intonacata: sopra l’arco è posto lo stemma della famiglia Granata, coronato da una fascia orizzontale con cornice aggettante entro cui è riportata la denominazione della porta; un balcone centrale affiancato da finestre squadrate e ulteriori aperture di epoche diverese, denunciano il sopravvenuto uso abitativo della struttura.