indirizzo: Piazza Plebiscito, 20

Visitabile: Si

Descrizione

Secondo la tradizione la chiesa di Santa Maria della Tomba fu eretta sui resti di un antico tempio di Giove o, come riportano alcuni studiosi locali, su parte di quella che sarebbe stata la dimora di Ovidio; il nome deriverebbe invece dall’esistenza di un’antica costruzione, ritenuta un sepolcro, che si trovava lungo la navata centrale, poi demolita nel XVII secolo. In realtà il titolo di Santa Maria della Tomba è l'abbreviazione della locuzione "Santa Maria dalla Tomba Assunta in cielo", poiché la chiesa è dedicata alla Vergine Assunta.

I primi cenni storici sul tempio, annoverato tra i più importanti edifici religiosi di Sulmona, risalgono al XIII secolo e nel XIV secolo il suo prestigio era tale da dare il nome ad un intero borgo. Quest’ultimo, chiamato prima borgo nuovo, poi di Sant’Agata e successivamente di Santa Maria della Tomba, si era progressivamente formato al di là delle mura meridionali più antiche, in prossimità dell’area destinata al mercato e alle fiere, laddove si concentravano le principali attività commerciali ed artigianali e maggiore era stato perciò lo sviluppo demografico ed urbanistico.

Nel corso dei secoli la chiesa ha subito varie trasformazioni e ristrutturazioni che ne hanno modificato l’aspetto originario: venne completamente ampliata e rinnovata tra ilXIV e XV secolo, epoca in cui la facciata, con il portale ogivale e l’elegante rosone, acquisì il suo aspetto attuale; fu notevolmente spoliata ed alterata da successivi ammodernamenti nel corso del XVII secolo (1619) e, nel 1857,  venne completamente trasformata negli interni seguendo le tendenze stilistiche dell’epoca. Alle trasformazioni operate dall'uomo si aggiunsero gli effetti prodotti dai terremoti, in particolare quello del 1706, che distrusse completamente la parte posteriore del fabbricato, di cui rimasero in piedi la facciata, il colonnato interno ed il campanile.

Solo negli anni Settanta del secolo scorso, l’allora Soprintendenza ai BAAAS provvide, con un maldestro intervento, a rimuovere l’apparato decorativo a stucco e le sovrastrutture barocche per conferire agli interni una veste più vicina all’originario aspetto medievale. Nell’intervento si innalzò erroneamente il livello delle strutture di copertura e, per evitare che quest’ultime superassero in altezza la facciata principale della chiesa, si eresse sul coronamento della stessa una nuova muratura - di colore più chiaro rispetto all’originari - dotandola, tra l’altro, di un’improbabile soluzione decorativa ad arcatelle cieche.

Dopo il terremoto di L’Aquila del 2009 la chiesa è stata nuovamente oggetto  di lavori di consolidamento murario e restauro conservativo mirati a migliorarne la risposta sismica grazie all’inserimento di tiranti e imperniature metalliche nelle murature dell’edificio.


Esterno

La facciata, del tipo romanico abruzzese a coronamento orizzontale (leggermente rialzata nel 1970 con l’aggiunta degli ultimi filari di conci in pietra e della decorazione ad archetti pensili), è suddivisa in due ordini da una cornice marcapiano finemente scolpita. Il portale, ogivale e strombato, è simile per forma e proporzioni a quelli di altre chiese sulmonesi coeve (San Panfilo, San Francesco della Scarpa), per cui si ritiene che il suo artefice, forse lo Jacobu iscritto all’interno delle imposte lignee insieme alla data 1441, appartenesse alla scuola di Nicola Salvitti, responsabile dei lavori nella cattedrale. Il suo profilo è definito da una coppia di colonne ottagonali esterne e dall’alternanza di pilastrini e colonnine lisce poggianti su un basamento in pietra e culminanti in delicati capitelli con foglie di acanto su cui poggia l’archivolto, costituito da cornici a tortiglione e modanature con fiorellini a punta di diamante. Al centro dell’architrave un agnello crucifero in bassorilievo, mentre nella lunetta restano tracce di un affresco poco leggibile, forse un’Incoronazione della Vergine. Il rosone centrale, impostato su cerchi concentrici, risale al 1400, come è attestato dall’iscrizione sulla campata superiore, che reca il nome del committente o, come sembra più probabile, dell’autore, un certo Palma de Amabile. La finestra circolare, quasi sovradimensionata rispetto alla facciata, è molto simile ai modelli aquilani del XIV secolo e si distingue per il buon modellato e per la raffinatezza di alcuni particolari decorativi, come la cornice maggiore - caratterizzata da foglie di acanto silvestre - e l’adiacente cordone tortile, dove da ogni punta nasce un giglio angioino. Sulla successiva circonferenza ad archetti a pieno centro, impreziositi da trilobi, poggia la raggiera composta da sedici colonnine ottagonali raccordate da arcatelle a sesto ribassato e trilobate all’interno; al centro, infine, è un’elegante corona composta da otto rose in altorilievo e volute d'acanto. In quello stesso periodo di tempo fu annesso alla chiesa un ospedale, di cui oggi rimane solo la facciata a vento con finestra bifora. La torre campanaria a sezione quadrata risale alla seconda metà del XVI secolo, mentre l’orologio è ottocentesco.

Interno

La chiesa offre un interno sobrio e lineare, con impianto planimetrico - suddiviso in tre navate da possenti colonne su cui impostano archi ogivali - transetto e tre absidi a scarsella. Il soffitto è a capriate lignee con copertura a doppio spiovente e le navate laterali ricevono luce da ampie finestre gotiche. L’arco trionfale, sostenuto da pilastri cruciformi, introduce al presbiterio leggermente rialzato e terminante nell’abside maggiore, che risulta decentrata verso sinistra rispetto all’asse della navata principale; qualcuno ha voluto leggere in questa anomalia una rappresentazione simbolica del capo del Cristo Crocifisso reclinato sulla spalla (inclinatio capitis). Sulle pareti perimetrali sono stati recuperati brani della decorazione pittorica risalente alla fine del ‘300 - scialbati in occasione della profonda trasformazione dell’interno operata nel 1857 - di cui rimangono tracce evanescenti nelle immagini di Santi non precisamente identificabili e forse anche nelle due rappresentazioni della Madonna col Bambino, meglio conservate, di cui una presenta l’insolita iconografia di Sant’Anna che avvolge nel mantello la Vergine e suo Figlio. Più numerosi i frammenti di affreschi del XV secolo e forse anche più tardi, per lo più a carattere devozionale. Sulla destra, entrando, la grande campana in bronzo fusa nel 1314 da Bartolomeo da Pisa - come recita l’iscrizione in caratteri gotici - originariamente collocata nella chiesetta di Santa Lucia, sede succursale della Curia Generalizia dell’ordine dei Celestini. Lungo la navata destra sono esposti dipinti ad olio su tela del XVI e XVII secolo, provenienti dagli altari barocchi demoliti nel corso dell’ultimo restauro; al termine di questa si incontra il portale architravato della sagrestia, sopra la quale un’epigrafe ricorda i lavori di ammodernamento del 1619. A destra del presbiterio si apre il settecentesco Oratorio della Confraternita di Santa Maria di Loreto - che ha sede nella parrocchia - a navata unica con abside terminale e copertura a cupola. Nelle edicole sono custodite le statue che prendono parte alla famosa sacra rappresentazione della “Madonna che scappa in piazza”, la mattina di Pasqua, curata dal pio sodalizio: la Vergine, il Cristo Risorto, San Pietro e San Giovanni Evangelista, tutte del XVIII secolo. Sempre nella zona presbiteriale si conservano due pregevoli pale d’altare (sec. XVII) provenienti dalla vicina abbazia di Santo Spirito al Morrone, raffiguranti altrettanti episodi evangelici: il “Battesimo di Cristo” e il “Noli me tangere”. Un interessante bassorilievo (sec. XIII) presente sul pilastro sinistro del transetto raffigura Adamo ed Eva e l’albero del peccato ed è stilisticamente vicino all’analogo esemplare murato lungo il fianco sinistro della vicina chiesa di Santa Lucia, situata nei pressi di Porta Napoli. Nella navatella di sinistra, all’interno di una nicchia, è posto il gruppo fittile della Vergine col Bambino, di scuola abruzzese, vicino alla maniera dello scultore Silvestro di Giacomo; l’opera fu donata o venduta alla Confraternita di Santa Maria di Loreto nel 1580 circa e posta sull’altare che la stessa congregazione aveva eretto alla metà del secolo.