indirizzo: Via Giacomo Matteotti, 18

Visitabile: Si

Descrizione

La cattedrale è intitolata a San Panfilo Vescovo - protettore della città - ed è il  più antico tempio di Sulmona; sorge all’estremità settentrionale dell’abitato, piuttosto discosto dal nucleo storico originario. Secondo la tradizione essa fu edificata nell’VIII secolo sulle rovine di un tempio pagano dedicato ad Apollo e Vesta, mentre alcune leggende locali riferiscono che, alla morte del Santo, le sue spoglie furono traslate da Corfinio a Sulmona e durante il trasporto divennero così pesanti da costringere i portatori a depositarle proprio nel punto in cui venne poi costruita la chiesa.

Al di là delle credenze, le prime notizie storiche certe sulla cattedrale si desumono dal Chronicon Casauriense (una preziosa raccolta di fatti e documenti relativi al non distante Monastero benedettino di San Clemente a Casauria, risalente al XII secolo), che riferisce di un importante intervento di rinnovamento delle strutture intrapreso nel 1075 dal vescovo Trasmondo e portato a termine nel  1119 dal vescovo Gualtiero.

Nei secoli successivi la chiesa subì incendi e devastazioni che, unitamente al flagello dei terremoti abbattutisi ripetutamente sul territorio (nel 1349, 1456, 1706 i più rovinosi), determinarono anche il depauperamento del tesoro e del prezioso archivio capitolare.

Il terremoto del 1706, soprattutto, danneggiò gravemente la cattedrale: crollarono le sagrestie e subirono danni notevoli il campanile trecentesco e l’adiacente palazzo vescovile, non più ricostruiti. I successivi lavori di ripristino interessarono principalmente la parte alta dell’edificio, con le volte delle tre navate e l’elegante apparato decorativo di stucchi e dipinti nel nuovo stile barocco. Delle stutture più antiche scampate alle distruzioni permangono ancora oggi: l’impianto planimetrico e il colonnato romanico, la cripta e parte del rivestimento esterno in pietra delle imponenti absidi semicircolari. Residuo dell’originaria costruzione anche il piccolo portale situato nel fianco sinistro dell’edificio, che metteva in comunicazione l’episcopio con la chiesa: molto deteriorato dal tempo, risale al ‘200 e reca un’iscrizione in caratteri longobardi sull’architrave e frammenti di epigrafi romane nella lunetta, un tempo sicuramente affrescata.

Il monumento, quindi, si propone oggi come la risultante di numerosi restauri e di una vicenda architettonica complessa e stratificata.


Esterno

La facciata è a coronamento orizzontale, suddivisa in due livelli da una cornice marcapiano con foglie di acanto e di cardo; la porzione superiore, ricostruita dopo il terribile sisma del 1706, è priva dell’originario rosone centrale, sostituito da un’ampia finestra quadrangolare; la parte inferiore, invece, ha conservato intatto il portale archiacuto, opera dello scultore mastro Nicola Salvitti da Spoleto, che su incarico del vescovo Bartolomeo De Petrinis lavorò nel 1391 al fronte della chiesa, insieme ad altre maestranze umbro-marchigiane. Il portale strombato dal profilo ogivale e i capitelli di colonnine e pilastrini sono finemente scolpiti nella pietra con ricchi motivi vegetali. Le due colonne esterne, poggianti su leoni stilofori molto deteriorati, sostengono le edicole, di squisito gusto gotico, con le statuette di San Panfilo - a destra - e San Pelino - a sinistra - patroni della Diocesi. La lunetta è affrescata con una Deposizione del XV secolo, attribuita al cosiddetto “Maestro della Cappella Caldora”, l’ignoto autore del ciclo pittorico realizzato nell’omonima cappella all’interno della vicina Abbazia di Santo Spirito a Morrone. Appartengono alla fase romanica dell’edificio, oltre al portale lungo il fianco sinistro, anche le tre absidi ripartite orizzontalmente da una cornice ad archetti pensili poggianti su beccatelli variamente ornati con teste di animali, donne, rosoncini e foglie di acanto. Sull’abside centrale si nota lo stemma cittadino di antichissima foggia (sono ancora rappresentati infatti il chiodo e la guiggia dello scudo) con le lettere S.M.P.E., incise in caratteri gotici sulla fascia superiore. In un periodo sicuramente più tardo fu aggiunta l’ala destra della facciata; risale infatti al 1501 il portale laterale che immette nei locali della sagrestia, come attesta l’iscrizione inserita nel paramento murario, mentre il piccolo campanile a vela fu innalzato nel 1751 e sostituì quello trecentesco distrutto dal terremoto.

Interno

In gran parte rivisitato dagli interventi operati tra il XVIII e il XIX secolo, conserva di antico l’impianto basilicale medievale a tre navate e tre absidi semicircolari e transetto. Anche le colonne romaniche in pietra, su cui impostano archi a tutto sesto, sono pertinenti all’edificio originario; quasi tutto il resto è caratterizzato da sovrastrutture e decorazioni barocche. La cupola emisferica, che all’esterno è celata da un tiburio poligonale, è un’aggiunta settecentesca estranea alla primitiva costruzione. La zona presbiteriale è sopraelevata per la presenza della cripta sottostante e raccordata al piano delle navate da due gradinate speculari, delimitate da una balaustra in raffinato commesso marmoreo. Nel braccio destro del transetto, al di là di un ottocentesco cancello in ferro battuto, si estende la cappella di Santa Teresa, sul cui altare è collocata una scultura lignea settecentesca raffigurante la Santa in estasi, opera dello scultore napoletano Giacomo Colombo. All’estremità opposta fu aperta nel XIX secolo la cappella del SS. Sacramento. Sulla volta a botte lunettata che copre la navata centrale vi sono riquadri a stucco che accolgono dipinti a tempera del pittore locale Amedeo Tedeschi (inizi del Novecento), raffiguranti episodi della vita di San Panfilo e di Celestino V. Su entrambi i lati dell’ingresso, addossati alle pareti di controfacciata, sono collocati due monumenti funebri. A sinistra quello del vescovo sulmonese Bartolomeo De Petrinis, raffigurato giacente sul sarcofago con i paramenti pontificali, mentre nei pannelli del prospetto sono riprodotte la Pietà - al centro - e l’Annunciazione ai lati. Il mausoleo, di cui è stata avanzata l’attribuzione all’orafo e scultore abruzzese Nicola da Guardiagrele, fu realizzato nel 1422 e doveva fin dall’origine prevedere il retrostante affresco con il Crocifisso tra la Vergine e San Giovanni Evangelista, attorno al quale si intravedono tracce di dipinti con altre scene della vita di Gesù. Sul lato destro un secondo mausoleo, assai simile per tipo e proporzioni al precedente, ma di minor pregio artistico, apparterrebbe secondo la tradizione alla sorella del vescovo, rappresentata sul giaciglio funebre; qui nel fronte del sarcofago è il Redentore tra Santi vescovi in preghiera. Sopra la controporta vi è un prezioso organo meccanico, con cantoria in legno intagliato e dorato del XVIII secolo e dipinti sulla volticella, tre angeli musicanti. Vari altari con dipinti su tela si susseguono lungo le pareti delle navate laterali; al centro della navata destra risalta un Crocifisso ligneo del XIV secolo, qui trasferito dalla cripta, ritenuto un dono del pontefice sulmonese Innocenzo VII alla cattedrale dove era stato battezzato. Il fonte battesimale in commesso marmoreo, nella cappellina all’inizio della navata sinistra, venne realizzato nel 1757 dal napoletano Giuseppe Bastianelli o Bastelli, che lavorò almeno in parte anche l’altare maggiore, eseguito con la medesima tecnica dell’intarsio. Si segnalano, inoltre, il coro ligneo intagliato nel 1751 dall’ebanista Ferdinando Mosca, autore anche dei due confessionali e, con buona probabilità, del pulpito e della cantoria dell’organo di controfacciata.

Cripta

Vi si può accedere da tre gradinate: una più imponente centrale - costruita nel XVII secolo al termine della navata maggiore - e due laterali più modeste, forse più antiche, tutte con balaustre in marmo intarsiato. La cripta, insieme alle tre absidi semicircolari, costituisce la parte più antica e meglio conservata della costruzione, dove recenti studi hanno ravvisato varie fasi costruttive anche antecedenti agli interventi del vescovo Trasmondo. In particolare si ritiene che le colonne centrali, con fusto monolitico in pietra calcarea locale e capitelli diversi l’uno dall’altro - sia per fattura che per ornamentazione - risalgano probabilmente al IX – X secolo, mentre tutta la parte perimetrale delle absidi, stilisticamente e costruttivamente molto dissimile dal nucleo più interno, sia invece da ascrivere al rifacimento di Trasmodo (fine XI – inizio XII secolo). L’ambiente occupa l’intero spazio della soprastante area presbiteriale ed era ripartito in tre navate trasverse da 16 colonne, ridotte a 14 per ricavare lo spazio utile alla costruzione dell’altare seicentesco dedicato a San Panfilo. Le tre file di colonne sono poste a distanze irregolari e non sono perfettamente allineate, per cui la quadratura delle volte a crociera risulta di una certa irregolarità. Ai piedi della gradinata centrale si trova la Cappella di San Panfilo, con l’altare di pietra locale intarsiata di marmi policromi. L’edicola, a pianta rettangolare, fu eretta nel 1662 per ringraziare il Santo Protettore di aver miracolosamente preservato la città dagli orrori della pestilenza che nel 1656 si era abbattuta sul Regno di Napoli. All’interno dell’altare, custodita in un’apposita nicchia, è conservato il busto reliquiario di San Panfilo, in rame dorato, argento e smalti, opera di pregevole fattura realizzata nel 1458 – 1459 dall’orafo sulmonese Giovanni di Marino di Cicco. Viene esposta e portata in processione in occasione della festa del Santo, che si tiene ogni anno il 28 aprile. All’interno della cripta è conservata un’interessante Madonna col Bambino, bassorilievo in pietra policroma del XII secolo, detta “ Madonna delle fornaci “ in quanto secondo la tradizione proverrebbe dal vicino borgo Pinciaro, nel settore occidentale della città, dove esistevano fornaci per la produzione di embrici o tegole. Potrebbe però trattarsi con maggiore probabilità di un rilievo scultoreo inserito all’interno del programma decorativo della chiesa di epoca romanica, come attesterebbero le evidenti concordanze con gli analoghi gruppi scultorei coevi delle vicine abbazie di San Clemente a Casauria e di San Pelino a Corfinio, dove figurano rispettivamente sul portale di destra e all’interno della cattedrale. Si conserva anche una cattedra episcopale ricomposta probabilmente nel XVII secolo con materiale di reimpiego: alla fine del XII secolo o al principio del sec. XIII risalgono le due lastre laterali in marmo decorate con rosoni a rilievo, mentre sicuramente posteriore è lo schienale, dipinto con una coppia di angeli reggistemma; due pesi romani sono utilizzati come pomelli. Anche quest’opera è da ritenersi ubicata in posizione diversa da quella originaria. Sulla parte destra della cripta vi è un monumento sepolcrale “a nicchia” della seconda metà del Trecento, con arcosolio cuspidato e timpanato ed Agnus Dei sulla sommità. L’affresco sulla parete di fondo ritrae una Madonna col Bambino tra l’arcangelo Michele e San Giovanni Battista; sull’intradosso un medaglione col Cristo tra simboli evangelici. Sul fronte del sarcofago restano tracce di una sinopia raffigurante un ignoto cavaliere giacente. Lungo le pareti laterali sono presenti due file di scanni lignei pertinenti al coro cinquecentesco realizzato da Bartolomeo Balcone per la cattedrale, poi sostituito alla metà del XVIII secolo con quello tuttora presente nel soprastante presbiterio. In un ambiente attiguo si apre una Sala dedicata a Celestino V, carismatica figura spirituale legata alla città, noto come il papa del “gran rifiuto”, di dantesca memoria. Nella cappella celestiniana si conservano alcune sue preziose reliquie e cimeli: una parte del cuore, custodita in una preziosa teca; alcuni indumenti e paramenti sacri, un busto, un crocifisso ligneo proveniente dall’eremo di Sant’Onofrio al Morrone, alcuni importanti documenti e la catena penitenziale.