indirizzo: Via Badia, 39

Visitabile: Si

Orari: Lunedì - Venerdì 09:00 - 15:00; Sabato e Domenica su prenotazione per gruppi di almeno 15 persone. Ingresso e visita guidata gratuiti.

Tel: 0864 32849

Descrizione


L’edificio è parte integrante dell’omonima abbazia, della quale ha condiviso per secoli la storia. Il complesso, sorto intorno alla metà del XIII secolo alle pendici del Monte Morrone dall’ampliamento di una cappella preesistente dedicata a Santa Maria del Morrone, per volontà del futuro Papa Celestino V, si sviluppò verso il 1268 con la costruzione di una nuova chiesa, intitolata allo Spirito Santo, e dell’annesso convent, che, nell’anno 1293, divenne sede dell’Abate generale dell’Ordine dei Celestini.

Nel XVI secolo l’abbazia venne restaurata ed ampliata e nel 1596, sotto l’abate Donato di Taranto, la chiesa fu dotata di un campanile a pianta quadrata, con finestre bifore sui quattro lati della parte sommitale e coronamento a cuspide piramidale, simile a quello della SS. Annunziata di Sulmona. Danni ingenti furono causati dal terremoto del 1706, a seguito del quale furono operati mutamenti consistenti fino al 1730, come documenta la data visibile sull’orologio della chiesa, opera del napoletano Giovanni De Sanctis.

Esterno

La corte centrale del complesso abbaziale, detta “dei platani”, costituisce il sagrato della chiesa, da cui si accede ad altri due cortili, quello “dei nobili” a sinistra della facciata e quello “del pozzo” sul lato opposto, rimasto incompiuto. Il fronte, attribuito a Donato di Rocco di Pescocostanzo e databile alla prima metà del XVIII secolo, è di impronta borrominiana, con l’alternanza di linee concave e convesse e l’impiego dell’ordine gigante nelle colonne, che richiamano da vicino il modello borrominiano di San Carlo alle Quattro Fontane. Il portale architravato, affiancato da colonne ioniche su un alto basamento, è sormontato da un riquadro che incornicia una nicchia ad arco. Semicolonne giganti di ordine ionico tripartiscono la facciata e delimitano al piano inferiore coppie di riquadrature bordate da pietra bianca che contrasta con i pannelli centrali in pietra brecciosa di colore rosato. Un’alta trabeazione ondulata divide orizzontalmente la facciata, che ripropone anche nell’ordine superiore la sovrapposizione di aperture rettangolari nelle sezioni laterali e la presenza di una porta-finestra centrale, al di sopra del quale campeggia un maestoso fastigio barocco in bassorilievo. Una balaustra di coronamento intervallata da pilastrini media il passaggio tra la facciata e il cielo retrostante ed include al centro un grande orologio con croce terminale. L’impiego della pietra calcarea di tipo compatto e breccioso accentua il gioco chiaroscurale e l’effetto dinamico dell’insieme.

Interno

A seguito del terremoto del 1706 l’originaria pianta longitudinale della chiesa fu trasformata in una croce greca, con cupola centrale su colonne corinzie e prolungamento dell’asse longitudinale nella profonda abside. L’interno ha conservato gli altari in marmi policromi, le decorazioni in stucco e i pregevoli arredi lignei, tra cui la cantoria d’organo del 1681 nella controfacciata, abbellita da paesaggi dipinti, opera del milanese Giovan Battista del Frate coadiuvato da Francesco Caldarella di Santo Stefano, che ne eseguì la doratura, mentre il coro a due ordini di stalli in noce intagliato fu commissionato a Leonardo Marchione di Pacentro nel 1722. La decorazione pittorica comprende i Ritratti di abati nella cupola, eseguiti a monocromo da Joseph Martinez nella prima metà del Settecento e la grande tela di scuola napoletana del XVI secolo con la Discesa dello Spirito Santo al centro della conca absidale; altre due tele, raffiguranti San Benedetto (1758) e l’Apoteosi di San Pietro Celestino (1750), rispettivamente del pittore boemo Antonio Raffaello Mengs e del napoletano Giovanni Conca, che occupavano le due testate del transetto, sono ora esposte nel Polo Museale Civico dell’Annunziata a Sulmona, insieme ad altri dipinti provenienti dall’abbazia tra cui una Madonna col Bambino, una Madonna del Latte e Santi e la pala con Santa Caterina e Santa Lucia attribuita a Giuseppe Simonelli, allievo e collaboratore di Luca Giordano, databile al tardo Seicento. Dal coro della chiesa, attraverso due aperture, si accede alla celebre Cappella Caldora e, tramite una stretta scalinata, alla piccola chiesa ipogea.

La Cappella Cantelmo-Caldora

Più nota con il solo appellativo Caldora la cappella, annessa alla chiesa, ospita in una nicchia il monumento funebre commissionato nel 1412 allo scultore tedesco Gualtiero d’Alemagna dalla nobildonna Rita Cantelmo, vedova di Giovanni Antonio Caldora, per sé e i suoi tre figli, Jacopo, Raimondo e Restaino, quest’ultimo identificabile con la figura in armi giacente sul sarcofago, mentre in un pannello posto al di sotto di questo sono rappresentati gli altri committenti inginocchiati. Il fronte della cassa, sostenuta da colonnine decorate da tralci vegetali, è diviso in tre riquadri scolpiti a rilievo con l’Incoronazione della Vergine al centro e gruppi di Apostoli e Santi ai lati. Sulle pareti della cappella si svolge un importante ciclo pittorico, che ha il suo centro nel Compianto sullo sfondo del monumento, a cui si aggiungono la Natività della Vergine, un guerriero aureolato e, sulle altre due pareti, schiere angeliche e dodici Episodi della vita di Cristo distribuiti su tre registri. All’ignoto autore è stato assegnato il nome convenzionale di Maestro della Cappella Caldora, personalità artistica di rilievo caratterizzata da una forte vena espressionistica, che si esprime con particolare intensità nella scena principale, elemento di raccordo con il monumento funebre nell’assimilazione del dolore delle due madri, la Vergine e Rita Cantelmo, per la perdita del figlio. Gli studi più recenti propendono per un’esecuzione degli affreschi pressoché contemporanea a quella della parte scultorea e quindi per una datazione del ciclo agli inizi del Quattrocento, se non allo stesso 1412, anno di realizzazione del monumento funebre.

La Cripta

Sotto il presbiterio della chiesa si estende una vasta cripta di epoca medievale, con pianta irregolare scandita da colonne con capitelli dipinti a motivi geometrici - così come le fasce decorative - e colonnine ottagonali a ricaduta dai costoloni della volta a crociera. Sulla parete perimetrale si conserva un affresco dei primi del Trecento, comunemente identificato come San Pietro Celestino che dispensa la regola.