indirizzo: Viale Sant'Antonio,26

Visitabile: Si

Orari: 7.00 / 19.00

Descrizione


La chiesa, con il titolo di San Nicola della Forma, è già citata nel Catasto del 1376 mentre il convento, per tradizione storica, fu costruito dai sulmonesi intorno al 1443 in segno di gratitudine verso San Giovanni da Capestrano, per aver posto fine alle lotte tra i Merlino e i Quatrario che da tempo devastavano la città. Il Santo ne avrebbe poi affidato la cura ai francescani Osservanti o Zoccolanti, cui si sostituirono, nel 1592, i Riformati. Fino a tale data la chiesa occupava lo spazio dell’attuale coro mentre il convento, probabilmente già ampliato e in parte affrescato, ospitava quattordici frati. Dovendo accogliere un numero maggiore di religiosi, fu in seguito ulteriormente modificato ed ingrandito con l’aggiunta dell’Infermeria, della farmacia e di una importante biblioteca.

La chiesa, allo stesso modo, subì profonde trasformazioni: demolita quella primitiva, se ne innalzò una nuova che ricalcava le dimensioni dell’attuale, ma di altezza minore.

Tra il 1651 e il 1681, grazie al contributo di cittadini di Sulmona e d’Introdacqua,  la chiesa fu rialzata, furono realizzati la cupola e il coro ed aperte grandi finestre; il convento acquistò importanza sempre maggiore e divenne sede delle cattedre di teologia, filosofia e dottrina scotistica. Il sisma del 1706 provocò gravi danni: la chiesa fu ricostruita nel 1726 e consacrata nel 1740; il convento quattro anni dopo.  

Il decreto di abolizione degli ordini religiosi, emanato nel 1809, comportò la chiusura della struttura monastica; fu quindi usata a più riprese per ospitare le milizie di passaggio e divenne altresì una polveriera. E’ nei documenti relativi a questo utilizzo che per la prima volta il convento è riportato con il nome di San Pasquale - mentre la chiesa rimase aperta al culto. Tornati i Borboni, per concessione del re, nel 1815, fecero rientro anche i monaci che ripararono nuovamente il danneggiato convento. La struttura divenne nel 1835 lazzaretto per l’epidemia di colera che si verificò a Sulmona.

Nel 1866 Vittorio Emanale II decretò la soppressione degli ordini monastici e la possibilità di incamerarne i beni. L’anno successivo il Comune di Sulmona acquisì il convento, che fu poi ceduto al governo e trasformato in carcere giudiziario; la casa di reclusione, attiva dal 1891 col nome di San Pasquale - per la devozione locale verso questo santo francescano - venne chiusa nel 1984 e nel 2010 l’ex-convento divenne sede della Sezione Staccata di Sulmona dell’Archivio di Stato dell’Aquila.

La chiesa rimase aperta al culto, anzi i frati cercarono di abbellirla tra il 1870 e il 1878; nel 1890, ricomperarono dai Baroni Mazzara parte dell’antico orto, a sinistra della chiesa, per fabbricarvi un nuovo e più grande convento che fu inaugurato nel 1906.

Nel secondo dopoguerra il grande impegno di padre Livio Addari porterà alla realizzazione di un Orfanotrofio, un Centro di Formazione Professionale e una Sala Cinematografica; sempre allo stesso religioso si deve, nel periodo precedente il conflitto, l’intitolazione della chiesa anche a Sant’Antonio - del quale si conserva una reliquia.

Esterno

La facciata è frutto della ricostruzione seguita al sisma del 1933. È a salienti, con la parte terminale a vento; la campata inferiore è coperta da un portico, composto da cinque arcate a tutto sesto poggianti su colonne prive di capitello. Il portalesettcentesco d’ingresso alla chiesa è inquadrato da un’elegante cornice modanata in pietra e da un ordine a fascia sormontato da mensole che sorreggono un timpano semicircolare spezzato che accoglie nel mezzo un edicola contenente una targa con un’iscrizione, fatta realizzare dalla famiglia Mazzara - che ebbe il patronato sulla chiesa - in occasione della riapertura del sacro edificio dopo i lavori di ricostruzione seguiti al sisma del 1706. In linea col portale si apre in alto una monofora a coronamento semicircolare con vetri colorati, affiancata da due statue di Santi francescani e sormontata da una piccola nicchia contenente il busto di un Santo vescovo. Sul fianco occidentale della chiesa si sviluppa il vecchio convento e dalla parte opposta la nuova fabbrica, al termine della quale, all’angolo del muro di clausura a confine con viale Mazzini, è stata eretta nella prima metà del XIX secolo la cappellina di Sant’Antonio Abate.

Interno

La chiesa fu molto danneggiata dal sisma del 1706 e ricostruita già a partire dal 1712; alla sua ricostruzione contribuirono diverse famiglie della città. La pianta è a croce latina con un’unica navata, coperta da volta a botte lunettata e cupola nel presbiterio; le pareti sono scandite da lesene dipinte a finto marmo venato con capitelli dorati di ordine composito. Gli affreschi e le decorazioni sono frutto di un rimaneggiamento avvenuto nel XIX secolo. In controfacciata, sulla porta d’ingresso, di pregio l’organo realizzato dai maestri organari della famiglia Fedeli di Camerino nel 1756. La cantoria in legno con parapetto mistilineo fu decorata, insieme alla cassa dell’organo, nella seconda metà del Settecento dal pittore Crescenzo Pizzala, con intagli, fregi e dorature; nella balaustra è dipinto lo stemma dei Borboni. In corrispondenza delle colonnine che sorreggono la cantoria, si aprono due piccole cappelle laterali, i cui altari furono realizzati a metà Ottocento. Lungo la navata si susseguono tre cappelle per lato che, come i rispettivi altari, riportano stemmi nobiliari, frutto dei patronati concessi su di esse nel corso degli anni; altri due altari sono posti alle testate del transetto. La prima cappella a sinistra è stata dedicata alla Vergine Immacolata in occasione del primo centenario di Lourdes. L’11 novembre 1684 mastro Giuseppe de Cicco ed i suoi figli, noti marmorari pescolani che avevano già lavorato a Sulmona, si impegnano con alcuni componenti della famiglia Mazzara a realizzare l’altare maggiore in tutte le sue parti; il coro con 34 stalli è separato dal presbiterio da un’iconostasi in commesso marmoreo sopra la quale sono le statue di San Pasquale Baylon e San Giovanni da Capestrano, in legno e cartapesta, realizzate a cura della famiglia Mazzara. Al Settecento risalgono i due grandi confessionali lignei coi relativi pergami sovrapposti e le pitture di autore ignoto nei pennacchi della cupola.