indirizzo: Via Roma 8, Sulmona

Orari: Via Roma (proprietà privata) – Vico del Vecchio (Uffici Camera del Lavoro CGIL temporaneamente trasferiti per lavori)

Ingresso: Libero da vico del Vecchio

Descrizione

Il Palazzo che oggi si estende su una vasta area compresa tra corso Ovidio, vico del Vecchio, vico dell’Arco e via Roma, è frutto di edificazioni successive. Esso insiste in un punto cardine della città, in corrispondenza delle antiche mura alto medievali, dell’antica Porta Salvatoris, della chiesa di S. Francesco della Scarpa, della Fontana del Vecchio e dell’Acquedotto medievale che si affaccia su piazza Garibaldi.

Il palazzo attuale è contraddistinto da cinque unità: la prima, di origine cinque-secentesca, su vico del Vecchio; la seconda - adiacente alla prima ed aperta sul medesimo asse viario - ricostruita nella seconda metà del XVIII secolo, in seguito al terremoto del 1706; la terza, più bassa, ricostruita nel secolo scorso; la quarta costituita dal monumentale edificio ottocentesco che si affaccia lungo corso Ovidio e via Roma.




Il corpo di fabbrica cinque-secentesco

Questo piccolo corpo di fabbrica - nucleo originario dell’intero palazzo - fu costruito tra la fine del XVI e la prima metà del secolo successivo. L’edificio doveva estendersi fino a corso Ovidio, data la presenza della cornice marcapiano bruscamente interrotta. La datazione del palazzo può essere desunta dall’interessante articolazione di facciata che vede il superamento della sintassi classica verso una ricerca di nuove e più ardite combinazioni delle parti, secondo il gusto manierista del tempo. Ciò è evidente innanzi tutto nel portale d’ingresso, simile a quello dei palazzi Sardi e Molina. Esso presenta una lavorazione a bugnato liscio che ricorda esempi romani illustri come il portale sangallesco di Palazzo Farnese a Roma nel quale, all’ordine architettonico, viene sostituito il paramento bugnato. Il bugnato, usato anche nelle finestre, si alleggerisce verso l’alto: si passa così dalla finestra quadrotta del piano terra alla finestra del primo piano con ordine rustico e zona dell’architrave invasa dal bugnato, (soluzione adottata da G. Romano nel palazzo Stati Maccarani a Roma), per giungere al secondo piano dove il bugnato è relegato, in forme ed aggetti minori, al controtelaio interno dell’apertura. Altri dettagli vicini alla cultura romana sono poi: la presenza di elementi di derivazione michelangiolesca come i timpani spezzati e le mensole inginocchiate che sorreggono le finestre; l’ordine ionico angolare dellaportiano; l’uso del singolare ordine a fascia delle finestre dell’ultimo livello, letterale citazione della soluzione michelangiolesca adottata a Roma per Porta Pia.

Il corpo di fabbrica settencentesco

Nel giro di pochi metri, le preziose testimonianze architettoniche sedimentatesi nel corso dei secoli testimoniano l’evoluzione del linguaggio architettonico dal gusto classico rinascimentale della Fontana del Vecchio, dove il linearismo della composizione, la delicatezza dei partiti architettonici e il coronamento semicircolare di tipo albertiano, contrastano con il vigore e la drammaticità del nuovo linguaggio manierista cinquecentesco che prelude all’avvento del Barocco, ormai evidente nel corpo di fabbrica settecentesco. L’enorme edificio, realizzato intorno alla metà del XVIII secolo, presenta un lungo fronte su vico del Vecchio articolato verticalmente su tre piani, di cui l’ultimo, ammezzato, modificato nei primi del XX secolo con la realizzazione di finestre balconate. Il portale principale, sulla sinistra, immette nel cortile rettangolare da cui si accede, sul fianco destro, allo scalone a doppia rampa che conduce al piano nobile. Il linguaggio architettonico è caratterizzato da una serena compostezza di tipo classico, vitalizzata da decorazioni e motivi floreali privi della drammaticità di aggetti del vicino prospetto manierista. Il vigore cinque-seicentesco cede il posto ad un sobrio impaginato di facciata testimone del gusto neo-cinquecentista che contraddistingue buona parte della produzione architettonica del Settecento abruzzese. Ma il dato di maggiore interesse in Palazzo Corvi risiede proprio nell’asimmetria del prospetto settecentesco su vico del Vecchio e nell’incompiutezza del cortile interno; ciò suggerisce infatti l’intento progettuale, mai attuato, di dar vita ad un unico grande palazzo, esteso fino a corso Ovidio, sul sito dell’attuale corpo di fabbrica cinquecentesco, e munito di quattro androni di cui due esistenti e due da aprirsi su via Roma e corso Ovidio. Il cortile presenta un linguaggio architettonico più elaborato, ottenuto attraverso l’uso di un’ordinanza di paraste tuscaniche al piano terra e ioniche. Ad essa si contrappongono le intelaiature orizzontali della trabeazione e delle cornici marcadavanzale, poste a fasciare l’intero spazio al fine di raggiungere un’unitarietà compositiva mai ottenuta a causa del mancato completamento dell’edificio. Il linguaggio architettonico del cortile presenta chiari rimandi alla produzione del barocco romano; la soluzione d’angolo arrotondato che conferisce unitarietà allo spazio, l’ordine architettonico che si innnalza quasi per gemmazione replicando i capitelli superiori secondo l’esempio borrominiano del cortile del Complesso dei Filippini a Roma nonché la replica quasi letterale della voluta del capitello ionico. Al contempo sono presenti anche elementi desunti dall’ambiente napoletano come l’uso degli archi ribassati e delle nicchie al piano terra nonché l’ampio scalone a doppia rampa che conduce al piano nobile.

Interno (corpo di fabbrica settecentesco su Vico del Vecchio)

Negli anni ’90 del Novecento gli ambienti del piano nobile del palazzo sono stati sottoposti ad un accurato restauro che ha consentito il recupero di gran parte della originaria decorazione settecentesca, costituita da stucchi, dorature e dipinti a tempera. La sala d’ingresso, a pianta rettangolare, è coperta da una volta a padiglione con fregio centrale; su ciascuna parete coppie di medaglioni ovali con al centro un riquadro rettangolare incorniciano bassorilievi in stucco dipinto con scene allegoriche e paesaggi agresti arricchiti da elementi architettonici di stampo neoclassico. Nell’ovale a destra dell’entrata è incisa la data 1770, riferita probabilmente all’impresa decorativa del palazzo. Attraverso una porta in pietra si accede ad un vano di minori dimensioni, con la volta ornata da una cornice centrale dorata a foglie di oro zecchino, che racchiude frammenti dipinti; questi, insieme ad altri lacerti pittorici di contorno, sono di difficile lettura ma farebbero supporre lo svolgimento di un tema mitologico o allegorico. A sinistra si passa nella cappella privata, con altare in pietra al di sopra del quale vi è un dipinto con Cristo Portacroce, sulla destra una Madonna e all’altro lato pochi resti pittorici non interpretabili. Tre porte incorniciate in pietra immettono nel salone di rappresentanza detto del Lago, per via del dipinto su carta, al centro della volta a padiglione, che raffigura una veduta campestre con un laghetto; il soffitto è decorato inoltre da fregi a motivi fitomorfi in stucco e oro zecchino che incorniciano disegni floreali. In questo ambiente è presente una targa in pietra con un’epigrafe latina databile entro la prima metà del III secolo d. C. (classificata C.I.L. IX 3160), rinvenuta nel 1777 nel territorio tra Raiano e Pratola e dal 1785 colllocata nel palazzo; si tratta di un’iscrizione onorifica, in origine posta sul basamento di una statua eretta in luogo pubblico per ricordare i meriti di un patronus della città di Corfinio, ossia un personaggio influente che difendeva gli interessi del municipium. Infine la Sala dell’Aurora, così denominata per il soggetto della pittura a tempera posta al centro della volta, che rappresenta, su uno sfondo di nuvole, Aurora su un carro dorato trainato da quattro cavalli.